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Basket U17. Termoli vince a Venafro sul +1 dopo un eterno ‘batti e ribatti’

CAMPIONATO UNDER 17
4ᵃ Giornata di andata
BASKET VENAFRO – AIRINO TERMOLI – 58/57
PARZIALI 14/6 – 27/25 – 37/38

BASKET VENAFRO: Ranieri ; Pitocco 1; De Angelis 6; Cancelli 10; Gianfrancesco 6; Mastrantuono 27 – Allenatore Valente

AIRINO Termoli: La Notte, Romagnolo 7, Colella ne, Di Dodo 1, Minchillo 6, Recchi 15, Nucciarone 2, Quaranta 15, Parente 8 . – Allenatore Bertinelli

Note: Antisportivo Parente (Airino Termoli)

Arbitro: Chiacchiari (Is)

E’ sera inoltrata, siamo in uno scatolone in cemento chiamato Palapedemontana, in un paesino del Molise chiamato Venafro. In campo, ragazzi in canotta, sicuramente si tratta di una partita di basket, sono tutti sicuramente al di sotto dei diciassette anni…
Così potrebbe iniziare un libro giallo nel quale il “colpevole” di turno si scopre all’ultimo rigo dell’ultima pagina.
Così è stata questa partita, solo a pochissimi istanti prima del suono della sirena l’autore sconosciuto ha rivelato il nome del vincitore.
Premettiamo che tutte e due le squadre meritavano di portare a casa il bottino pieno, ma sappiamo che in questo sport non si può dividere la posta in palio.
Passiamo alla cronaca iniziando, come lecito dal primo quarto che è stato dominato dalla BkV. Cancelli apre le marcature e si ripete dopo poco su un ottimo assist di Ranieri. Un quarto chiuso in vantaggio per 14/6, con una netta padronanza del campo da parte dei locali.
Nel secondo quarto per cinque minuti, la squadra di casa subisce il ritorno dei Termolesi che riescono a segnare un breack di 13/0, con protagonista Recchi che ne realizza quasi la meta’ dei punti. Il coach Bertinelli, in effetti ha azzeccato la mossa tattica, chiamare pressing e mettere in difficoltà il portatore di palla venafrano, raddoppiando o triplicando su di esso la marcatura. Riesce a sbloccare il risultato dopo quasi 5 minuti Mastrantuono, ma seguono altre marcature di Nucciarone, portando il risultato sul 19/25. De Angelis segna facilmente da sotto ed ancora Mastrantuono riesce a pareggiare i conti e a 7 secondi a chiudere in vantaggio il primo tempo.
Dopo il riposo i viaggianti partono forti piazzando un altro breack di 8/0 riportando la propria squadra in vantaggio di sei lunghezze. Dalla parte del Venafro c’è un lungo immarcabile, è Mastrantuono, segnerà tanto da sfiorare i trenta punti a fine partita. Dall’altra parte è Recchi e segnare maggiormente, centrando anche una tripla con così tanta precisione da non far muovere neanche la retina. Il terzo quarto si chiuderà sul 37/38, un sostanziale pareggio.
Ultimo emozionante quarto sarà intenso come non mai. Segna subito Mastrantuono una delle due possibilità a lunetta, pareggiando i conti, gli risponde un ottimo Quaranta, ragazzo del 2000 che in questo quarto segnerà 11 dei suoi 15 punti totali a referto. Non è neanche finito il primo minuto che in un azione di attacco Pitocco subisce fallo da ultimo uomo da Parente dell’Airino. L’arbitro gli fischia l’antisportivo! Pitocco dalla lunetta centra 1/2 . Si torna in vantaggio con Mastrantuono, ribalta di nuovo Quaranta. De Angelis segna il controsorpasso, rovesciato un’altra volta da Parente.
E’ un batti e ribatti che continua con segnature da una parte e dall’altra fin quando il tabellone segna 50/51 per i viaggianti.
Mancano 2’37” alla fine – Time out richiesto da Bertinelli dell’Airino. Subito dopo i suoi ragazzi segnano un mini breack di 6/0 che porta le due squadre sul 50/57.
Tutti credono che ormai il risultato è acquisito, ma non è così! Il cronometro segna 1:31 alla fine. Cancelli, subisce fallo che lo porta in lunetta dove finalmente segna un 2/2.
Tempo rimasto 1’24”- I venafrani riescono a far sbagliare un passaggio agli avversari, quindi rimessa laterale per noi, nella metà campo locale. Saggiamente, prima che si riprenda il gioco coach Valente chiama Time out.
Passato il minuto, si rimette come da regolamento, dalla parte opposta del campo.
Rimessa veloce su Gianfrancesco che segna e subisce fallo sulla realizzazione, ma sbaglia l’altra opportunità. Siamo sul 54/57.
Recuperiamo subito palla dal pressing che effettuiamo, Cancelli quasi dalla lunetta realizza sfruttando un blocco dell’ottimo Mastrantuono.
Mancano 0’ 46” sul punteggio di 56/57. Azione successiva, recupera nuovamente palla Gianfrancesco, che subisce fallo, dalla lunetta centra un 2/2 che vuol dire sorpasso! 58/57
Solo 38” di gioco, ma nulla è deciso! L’Airino attacca, la BkV cerca di non fare fallo, arrivano in qualche modo al tiro, ma sbagliano.
Rimessa dal fondo, mancano 17 secondi, i venafrani fanno scorrere il tempo e cercano di non subire fallo, la sirena suona determinando la vittoria mentre Mastrantuono si stava avviando nuovamente solo verso canestro!
Grande merito e complimenti al coach di casa per come ha saputo gestire la partita ed in particolare gli ultimi istanti, altrettanti complimenti e un grande applauso ai ragazzi di coach Bertinelli.
Un appunto ai ragazzi del Venafro in quanto hanno evidenziato durante tutta la partita, ancora una volta, troppi errori dalla lunetta. Un eloquente 9/25 (36%)di tutta la squadra contro un 7/9 (0,78%) dell’Airino, dalla linea della carità. Un dato che ci fa capire il numero degli attacchi in partita, ma anche che è un particolare che può far cambiare il destino di una gara.

Lo SportIVO: Curve chiuse, e poi?

di Ivo Stefano Germano
E adesso chi si prende la responsabilità di dire ad Eric Cantona che, solo quattro anni fa,  in un ficcante e strepitoso dialogo sul calcio – http://www.youtube.com/watch?v=eb6yVgwAzZU – rassicurava sullo stadio come : “l’ultimo posto dove non ti arrestano”. Il film è “Il mio amico Eric” di Ken Loach (2009) e con una punta di malizia o di veleno possiamo ben dire che il processo di sterilizzazione dal campanile, dall’eterno scontro simulato e ritualizzato fra guelfi e ghibellini procede ineluttabilmente. Curve chiuse di là e di qua. Caveat federali a più non posso, una generale predisposizione emergenziale nei media unita ad occhiuto soppesare striscioni, tag, tweet,video amatoriali e scombinati, alla ricerca del “coro discriminatorio”. Beninteso: ognuno è libero di pensarla come gli pare e piace sugli ultras, sulla bislacca volgarità di certo calcio contemporaneo, sull’ideale contorto che sia il tifo organizzato a decidere o comandare sullo sport. Che il razzismo faccia schifo è una delle mie tetragone convinzioni, però le idee si spostano e continueranno a farlo, anche di fronte ad una società iper-controllata e tecnocratica che ha tutto l’interesse nel ricreare artificialmente identità totalizzanti e strutte da nostalgia per “comunità ascrittive” prima del tanto e del troppo merchandising globale, tribale, frammentato del calcio contemporaneo. Forse è l’occasione per riflettere sulla giusta tensione nel coniugare la genunina dimensione popolare con quella intellettutale rispetto al ricoscimento della diversità, come bene sempre possibile da tutelare e promuovere. Unica via d’uscita strategica contro l’omologazione culturale. Altrimenti una bella fila di sagome di legno di spettatori con cartelli su sui scrivere: “Alè-oò, alè-oò”.  Esperimento già tentato. E non ci pensiamo più. Appunto: proprio più.

Lo sportIVO: introduzione alla sociologia dello sport

di Ivo Stefano Germano
A essere superficiali non si può che mostrarsi d’accordo su tutta la linea. I titoli estrapolati dalla stampa sportiva e non, uniti a discorsi che si potrebbero definire di senso comune, ad una lettura più profonda, espongono l’analisi a un contesto estremamente riduzionistico. In realtà, la sociologia della cultura e della comunicazione sportiva che s’incarica di leggere e interpretare il fenomeno sociosportivo è, sempre più, convinta che vi sia una profondità e una salienza dello sport, ben oltre battute, levate di scudi e sarcasmi. Il fatto è che lo sport è profondamente mutato. Ed è proprio il mutamento sociale e culturale a rendere l’identità dello sport contemporaneo in divenire. Da un certo punto di vista, la propensione a sostituirsi e confondersi con altri sistemi sociali, apre la strada alla percezione che lo sport non sia più quello di una volta, almeno, sembri essere molto diverso e lontano da quanto le persone si aspettino debba o dovrebbe essere. Pare contare più l’effetto della causa se, ad esempio, certe derive e asprezze paiono condizionare, persino, gli sviluppi futuri di una forma spettacolare, estremamente seduttiva e appetibile dai media, piuttosto che da quella forma di agonismo dettato da regole precise al fine della competizione, denominato e definito «sport moderno». Che catalizza l’attenzione sociale, produce una riserva di epos di cui le società complesse necessitano per rinnovare il legame sociale, fornisce delle chiavi di accesso a business e carriere sociali e politiche. Oltre lo sport c’è di più. Più esattamente il core business teoricamente sperabile di questo volume attiene proprio al surplus culturologico che Al Pacino nel film Ogni maledetta domenica di Oliver Stone, interpretando un coach di football americano che parla e cerca di motivare la sua squadra riassume alla perfezione: Non so cosa dirvi davvero. Tre minuti alla nostra più difficile sfida professionale. Tutto si decide oggi. Ora noi o risorgiamo come squadra o cederemo un centimetro alla volta, uno schema dopo l’altro, fino alla disfatta. Siamo all’inferno adesso signori miei. Credetemi. E possiamo rimanerci, farci prendere a schiaffi, oppure aprirci la strada lottando verso la luce. Possiamo scalare le pareti dell’inferno un centimetro alla volta. Io però non posso farlo per voi. Sono troppo vecchio. Mi guardo intorno, vedo i vostri giovani volti e penso «certo che ho commesso tutti gli errori che un uomo di mezza età possa fare». Sì perché io ho sperperato tutti i miei soldi, che ci crediate o no. Ho cacciato via tutti quelli che mi volevano bene e da qualche anno mi dà anche fastidio la faccia che vedo nello specchio. Sapete con il tempo, con l’età, tante cose ci vengono tolte, ma questo fa parte della vita. Però tu lo impari solo quando quelle le cominci a perdere e scopri che la vita è un gioco di centimetri, e così è il football. Perché in entrambi questi giochi, la vita e il football, il margine di errore è ridottissimo. Mezzo passo fatto in anticipo o in ritardo e voi non ce la fate, mezzo secondo troppo veloce o troppo lento e mancate la presa. Ma i centimetri che ci servono, sono dappertutto, sono intorno a noi, ce ne sono in ogni break della partita, ad ogni minuto, ad ogni secondo. In questa squadra si combatte per un centimetro, in questa squadra ci massacriamo di fatica noi stessi e tutti quelli intorno a noi per un centimetro, ci difendiamo con le unghie e con i denti per un centimetro, perché sappiamo che quando andremo a sommare tutti quei centimetri il totale allora farà la differenza tra la vittoria e la sconfitta, la differenza fra vivere e morire. E voglio dirvi una cosa: in ogni scontro è colui il quale è disposto a morire che guadagnerà un centimetro, e io so che se potrò avere una esistenza appagante sarà perché sono disposto ancora a battermi e a morire per quel centimetro. La nostra vita è tutta lì, in questo consiste. In quei 10 centimetri davanti alla faccia, ma io non posso obbligarvi a lottare. Dovete guardare il compagno che vi sta accanto, guardarlo negli occhi, io scommetto che vedrete un uomo determinato a guadagnare terreno con voi, che vi troverete un uomo che si sacrificherà volentieri per questa squadra, consapevole del fatto che quando sarà il momento voi farete lo stesso per lui. Questo è essere una squadra signori miei. I caratteri fondamentali dello sport tendono a polarizzare il dibattito pubblico in due nette prese di posizione: gli «ipercritici» e gli «acritici». E, come tutte le dicotomie, azzerano la possibilità di un tertium datur, in grado di contemplare la sfera intermedia, gli interstizi, le pieghe fra sport, cultura e società. Da un lato, gli «addetti ai lavori»: studiosi, giornalisti, organizzatori di eventi e manifestazioni sportive tendono a difendere più l’opinione che l’idea sullo sport come il «il migliore dei mondi possibili»; dall’altro canto, non vi è chi non si faccia sfuggire l’occasione per accusare stigmatizzare, individuare nello sport il «peggiore dei mondi possibili». Tanto più dopo che la dimensione processuale emersa nel lavoro fondativo del sociologo bolognese Antonio Roversi, prefatore di Sport e aggressività di Norbert Elias ed Eric Dunning recentemente scomparso consente di definire lo sport come: Quando parliamo di sport, dal bar sottocasa ai simposi accademici, entra in causa, proprio, la cultura, evocando, spesso a sproposito, il peso più o meno reale della «cultura sportiva» in una società, realmente, sport oriented, a partire dalla relazione fra cultura e mondi vitali. Per questa intima ragione a un campione della boxe come Mike Tyson sembrava che: «fuori dal ring è tutto noioso», oppure, chiedendo scusa per lo strambo accostamento di sacro e profano Giovanni Paolo II, in occasione del Giubileo internazionale degli sportivi a)ermò che lo sport è gioia di vivere, gioco, festa. È un mosaico multiforme e poliedrico lo sport contemporaneo. Spettacolo? Passatempo? Ultima e disperata difesa delle identità? Oppure, nel solco della riflessione sul desiderio mimetico di René Girard «capro espiatorio» su cui scaricare colpe e paure. Una matassa inestricabile di discorsi, appunti, riflessioni, in un certo senso, rende lo sport un problematico oggetto di studio. In un contesto di frammentazione sociale e pluralismo culturale sport e società, sport e cultura sono rapporti sociali che interessano sempre con maggiore intensità non solo chi fa o segue uno sport, oggetto culturale a latere, di un sociale non proprio generoso nei confronti della passione e del divertimento. Scandali, risse da «mercato», strictu sensu, per la commercializzazione dei diritti sportivi e l’ossessiva ricerca dell’interesse e dell’utile, infatti, impallidiscono i valori reali di quello che è sport. Ciononostante lo sport accusa una certa fatica a imporsi, o meglio, a divenire un plausibile e appassionante oggetto di ricerca sociologico, a meno che non si voglia contare gli happy few che, fedelmente e coraggiosamente, s’interrogano sulle teorie e i metodi per riscattare epistemologicamente una disciplina, il più delle volte, ignorata. Nondimeno è proprio difficile definire lo sport (si pensi alla confusione che normalmente facciamo tra educazione fisica e sport, tra sport per tutti e sport olimpico, loisir, fitness, wellness e via dicendo), difficile indicarne i limiti di quello che sembra essere effettivamente il fenomeno sociale di più facile accesso. La più che evidente relazione fra sport, cultura e società, considerata centrale dalla letteratura sociologica internazionale di grande complessità, agli occhi della sociologia italiana desta un sentimento di minore interesse, quasi che i problemi sociali dello sport equivalessero, tout court, a non problemi: Al di là degli studi condotti sulla violenza nello sport, alla sociologia spetta tuttavia il compito di allargare lo sguardo all’insieme dei comportamenti in campo sportivo e motorio, per osservare i valori emergenti, come la ricerca della salute e del movimento in un ambiente libero a contatto con la natura. Solo così il sociologo aiuterà la società a liberarsi dalla «tirannia del valore»>–>la corsa al «successo» nello sport competitivo, la vittoria «a ogni costo», appunto! È illuminante paragonare la pletora di «libri di sport» ai libri, saggi, volumi, articoli sullo sport. A maggior ragione, se si prende in considerazione la lunga gittata dell’argomento sportivo che, nella società moderna, prende linfa e si rinnova dalla riscoperta dei giochi Olimpici dell’antica Grecia. Più di un aspetto, anzi molti elementi di quanto esposto avvertono della formazione e strutturazione di una «società sportiva»: argomento e tema che si tenterà di affrontare in questo volume ammettendo, sin da subito, la volontà di assicurare la massima sistematicità, rispetto a un campo e oggetto di studio sociale e culturale di recente interesse per quanto riguarda la comunità scientifica italiana, le cui prospettive disciplinari riguardano la storia dello sport, la psicologia dello sport, l’economia dello sport, il diritto dello sport, la filosofia dello sport. Lo sport è da interpretarsi socioculturalmente in prospettiva «multidimensionale», in relazione a una realtà plurale delle teorie e delle pratiche sportive. Per la verità, il volume è idealmente dedicato ai tanti genitori che tifano calorosamente sulle tribune di un campo di calcetto il sabato pomeriggio e la domenica mattina. I quali al fischio finale e, purtroppo non solo, mentre i figli e figlie si rilassano, scherzano, si esaltano, si deprimono negli spogliatoi inscenano il brutto spettacolo di o) vendere l’arbitro, aggredire l’allenatore, battibeccare con altri genitori. Va da sé che non si tratta di «fare la morale», ma di mettere in chiaro, sin da subito, che lo sport è, prima di tutto, cultura. Innanzitutto occorre prendere coscienza dello sport come chiave di conoscenza della società, oltre il perimetro di una «società sportiva», laddove lo sport fa parte della nostra vita quotidiana, intimamente collegato alla società del «benessere», al pari del turismo e della moda, del cibo e del consumo, convogliando un surplus emozionale e istituzionale. Lo sport è un «magnete» culturale capace di attrarre poeti, sceneggiatori, cantanti, pittori, scultori e gente normale, soprattutto, in forma residuale, come «manifestazione di sentimenti». Risulta gradevole farci guidare dal «sentimento sportivo», una inedita manifestazione di impulsi per nulla residuali che contribuiscono al mantenimento dell’equilibrio sociale, a salvaguardia della vera essenza del fare sport, come fair play, benessere psicofisico, realizzazione personale, rispetto, tolleranza, educazione: «[…] onde concepire una prospettiva di analisi che sappia comprendere la strutturazione di questa o quella realtà dello sport a partire dalle informazioni che sono acquisibili ed interpretabili, alla luce della riflessività teorico sociologica, circa l’ecologia sociale che contraddistingue tale realtà». Per questo motivo, al fine di superare la dicotomia fra «acritici» e «ipercritici», tra «tutto è sport» e «niente è sport», ho tentato di rimarcare sin dal titolo il «bello» dello sport e della «società sportiva», meno carente in fair-play, capace di saper perdere, disponibile al sacrificio e alla cultura del gioco sportivo.